RESTO UMANO – Storia vera di un uomo che non si è mai sentito donna

Ho conosciuto Miki Formisano una sera a cena con amici.

Ero stato invitato da una mia amica super esuberante ed una sua amica impegnata nel sociale che cerca di dedicare tutto il suo tempo a trovare modi per migliorare questa società. Ecco: questi sono due tipi di persone che mi piace seguire.

Ma poi, mentre loro due discutevano tra loro, si è messo a parlare con me Miki, un ragazzo di bell’aspetto dedito al bodybuilding.
Una persona che, malgrado la sua figura imponente, irradia serenità. Che trasmette pace.
L’ho ascoltato parlare a lungo e mi ha rapito talmente tanto che ci siamo scambiati i contatti sui social networks.

Vuoi o non vuoi, ho seguito la sua vita.
Ha una compagna, sempre sorridente, di quelle che ti accorgi che sono felici davvero.
Una vita regolare fatta di palestra e pranzi domenicali.

Dopo molto tempo ho scoperto che Miki, nacque Michela.

Non fui shoccato dal fatto in sé, ma più che altro dal fatto che non me ne sia accorto da solo.

Qualche tempo dopo è uscito il libro “Resto umano” che parla della sua storia, scritto da AnnaPaola Lacatena.
Lo lessi. E rimasi ulteriormente shoccato.

La persona ipersensibile e dispensatrice di armonia che avevo conosciuto aveva in realtà un passato burrascoso e problematico. Aveva patito tutti quei mali dei quali i media ci hanno allarmato durante la mia crescita.

Era stata una tossicodipendente, una ladra, una malata di AIDS.

I media e la società ci hanno sempre fatto schierare contro di essi.
Conoscendo Miki e leggendo il libro della sua storia mi sono accorto che quelli più impauriti e vittime sono state proprio loro che hanno vissuto in prima persona tutto questo.

“La paura finisce così per confondersi con il coraggio” “Quando sento dire da qualcuno che l’hanno scelta loro un’esistenza così, urlerei fino a perdere la voce. Il dolore non lo cerchi, non lo scegli, non lo vuoi”. “Chi si fa non vuole uccidersi. Questa può essere una conseguenza, non certo l’obiettivo. Chi si fa vuole disperatamente vivere ma non sa come”

Miki ha vissuto un’adolescenza non aderente al suo stato, e questo le ha generato tanta rabbia che la ha indotta a riversarla sugli altri.
Non solo era diventata una bulla, ma il terrore della sua città.
Questo comportamento la ha portata ad affiliarsi ad altre persone emarginate dalla società, dedite all’uso di stupefacenti.
Quelle sostanze calmavano il conflitto interno ed il senso di inadeguatezza con la società perbenista.

“Sono il frutto dell’albero della media borghesia. Di gente con dei valori, pronta a qualsiasi sacrificio per i propri figli, anche quello di condannarli a un’infelicità che ti convinci di accettare per il loro bene”

La costante necessità di quelle sostanze che generano dipendenza, molto costose all’epoca, induceva gli usufruitori a continui furti.

Era un loop dal quale era impossibile uscire, e di fatti le persone che entravano in quei tunnels, morivano a frotte in quei tempi.

Ma un giorno Miki conobbe Marilena, un amore forte, travolgente, che fu la sua scialuppa per non naufragare in quella burrasca.

L’amore per lei fece nascere l’amore per sé stesso.

Ma allora è proprio vero che l’amore è l’unica ancora di salvezza?

Miki si è ravveduta, ha cominciato a vivere una vita onesta fatta di opere buone.

Per i crimini che ha commesso la legge gli ha già fatto scontare le pene previste, e per quanto riguarda le sue onte morali, cerca di pulirle costantemente con opere di bene.
Cosa fa adesso Miki? Oltre al volontariato dedica il suo tempo a seminari nelle scuole e programmi televisivi per raccontare la sua esperienza, cercando di fare capire quanto sia sbagliato bullizzare e rubare, e gli effetti dannosi delle droghe a livello fisico e sociale.
Con sua grande sorpresa le aule delle scuole sono piene ogni volta ed i ragazzi interagiscono con molte domande.

Le persone ascoltano sempre più ben volentieri racconti di vita vissuta che sermoni proibitivi.

“Avevo fatto del coraggio la mia corazza ma non sono mai stato insensibile alla sofferenza altrui. Ho cercato di aiutare delle persone, sia pur nel mio modo distorto. Ho portato la roba ma spesso a questo ho accompagnato le buste della spesa. Ho fatto finta di non vedere e non sentire, di non essere riuscita a trovare il debitore di turno. Ho messo l’avvocato a chi non poteva permetterselo. L’ho fatto di tasca mia” “Mi sentivo migliore di tante persone che mi ruotavano intorno da cui ho conosciuto il male, la cattiveria, la crudeltà. Oggi non posso non pensare che di quel brutto facevo parte anch’io, a pieno titolo. Un concentrato di schizofrenia valoriale faceva di me una persona cattiva per i buoni e buona per i cattivi”.

Trovo che questa sia una meravigliosa storia di redenzione.
La religione dello stato in cui vivo ci ha sempre insegnato ad essere misericordiosi, e che la redenzione è il punto massimo di evoluzione di un essere umano.

“Don’t judge a Man till you’ve been standing in his Shoese [non giudicare un uomo finchè non hai fatto un pezzo della sua vita con le sue scarpe]” recita un detto. Quindi, non barricatevi nelle vostre certezze di cosa è giusto o di cosa voi pensiate che lo sia. Ascoltate le storie delle altre persone, provate ad immedesimarvi nelle loro disavventure ed il quello che hanno sofferto.

Grazie Miki per la tua straordinaria forza d’animo che ti ha permesso di uscire da quel profondo burrone nero pesto in cui eri precipitato, e per ricordarci che qualsiasi siano le nostre disavventure, una vita migliore è davvero possibile.

Gipo Ciccone